Il lavoro umanistico è sottopagato o non pagato in Italia, salvo rare eccezioni. Qualcuno potrà dire che i professori universitari sono ben retribuiti. Ma prima di arrivarci devono laurearsi, fare il dottorato, fare i borsisti, fare gli assegnisti di ricerca, vincere la cattedra. Con il dottorato ricevono uno stipendio, ma dopo di esso non hanno nessuna certezza e talvolta la carriera accademica finisce lì. A livello letterario le riviste letterarie non pagano, i blog culturali nemmeno, le testate giornalistiche online pagano poco, le case editrici pagano poco o nulla i collaboratori. Talvolta anche gli scrittori famosi non ricevono alcun gettone di presenza per le loro ospitate televisive. Pubblicando libri di solito non si guadagna niente. Molti si rivolgono all’editoria a pagamento. Anche pubblicare non a pagamento con una piccola o media casa editrice non comporta guadagni ma solo un dispendio di energia e di tempo tra presentazioni, partecipazioni a premi, etc etc. Anche approdare alla grande editoria non significa svoltare nella maggioranza dei casi. I bestselleristi si contano con le dita di due mani in Italia. Solo pochissimi riescono a vivere esclusivamente di scrittura. Paolo Di Paolo ha scritto un libro dal titolo “Trovati un lavoro e poi fai lo scrittore” perché è quello che gli consigliavano tutti. Oggi la scrittura è vista come un hobby, una cosa da dopolavoristi. Molti diranno che è lavoro solo se guadagni. E l’impegno, lo studio, l’acculturamento non sono anch’essi lavoro? Una persona che ha un minimo spessore culturale dovrebbe quindi fare una cosiddetta professione intellettuale, ovvero essere un lavoratore di concetto. Ma oggi per fare l’impiegato in un’azienda o in banca è obbligatoria una laurea in economia o in legge, mentre vengono scartati a priori gli umanisti. Un umanista potrebbe fare il copywriter, ma dovrebbe diventare una partita Iva e il suo mestiere sarebbe difficilmente inquadrabile a livello fiscale. Insomma meglio se va a fare il copywriter da nomade digitale o se si trasferisce alle Canarie! Solo i più bravi, quindi rarissime eccezioni, riescono a fare i consulenti editoriali o gli editor per grandi case editrici. Una persona acculturata dovrebbe fare quindi il giornalista pubblicista o l’insegnante. Ma anche in questi casi ci vogliono anni di precariato e incertezze! E non è detto che si approdi alla fine al contratto a tempo indeterminato o posto fisso…Il poeta Andrea Temporelli in tempi recenti si chiedeva perché alcuni si ostinano a fare i poeti, visto che si fa la fame e la visibilità è scarsa? Perché scrivere allora? Solo e semplicemente per la gloria postuma, che in molti casi non arriverà? Ma si scrive, si legge libri, si fa l’operatore culturale online soprattutto per passione, per amore della poesia, dell’arte, dell’umanesimo. Non per soldi. E le poche soddisfazioni immateriali sono impagabili. I pionieri del web intendevano la democrazia come maggiore fruizione della cultura, come gratuita circolazione delle idee, delle nozioni, degli epistemi. Bisognerebbe recuperare questo spirito e dare il proprio contributo, piccolo o grande che sia. Anche recensire libri di poesia può tornare utile a qualche altro. Ci può sempre essere qualcuno che apprezza e condivide ciò che scriviamo. Però questo non significa che l’equazione gratuito=scadente sia vera. Nel web ad esempio ci sono molte risorse culturali gratuite. Bisognerebbe considerare meritevoli coloro che gestiscono blog culturali, riviste letterarie, piccole testate giornalistiche online, portali culturali, piccole case editrici e che spesso faticano ad arrivare a fine mese, anzi talvolta ci rimettono per le troppe spese di gestione. Purtroppo costoro sono costretti a tirare avanti la baracca nell’anonimato, mentre cifre stratosferiche e grande popolarità hanno gli/le influencer, gli youtuber che fanno challenge molto rischiose per loro e per il prossimo, onlyfanser decerebrate. Insomma in Italia con la cultura non si mangia, in altre nazioni più civili e più evolute invece sì. Che ci volete fare se i più vanno su Youporn e su Only fans e non sui blog letterari? 6 italiani su 10 secondo le statistiche non leggono 1 libro in un anno. I risultati però sono sotto gli occhi di tutti e il mio non è pessimismo: è solo realismo. Ad esempio siti come academia.edu dovrebbero essere visitati da tutti. Invece questi angoli culturali online restano di nicchia. Abbiamo perso di nuovo una grande occasione. È stato monetizzato solo il peggio del web, mentre la cultura rimane sottopagata o non pagata. È semplicemente così che va il mondo. L’andazzo è questo. Ma non bisogna darla vinta. Bisogna continuare a leggere, a riflettere e a scrivere. Poco importa se qualcuno ci ride dietro. Come scriveva il compianto Claudio Rocchi “o sei parte del problema o sei parte della soluzione”, sempre ammesso che ci sia una soluzione al declino del nostro Paese.