Alessandro Babbone è un giovane poeta nato a Battipaglia, in provincia di Salerno, il 26 febbraio 1996. È cresciuto a Roccadaspide. Si è laureato in Scienze della Comunicazione presso l’Università di Pisa, dove risiede. Insieme a Giuseppe Cammarota e Alessandro Mazzarella, ha formato una band chiamata ‘I DNA’ (Dreaming Nowhere Anymore) e hanno pubblicato il loro primo disco intitolato ‘Animali in autostrada’. Innanzitutto sono componimenti che si leggono tutti d’un fiato. Li ho riletti per capirli meglio, per assaporarmeli di più. Dopo qualche giorno ho chiuso i pensieri, per così dire, e sono riuscito a farmi un’idea, giusta o sbagliata che sia. “Dopo le due di notte” di Alessandro Babbone ha un titolo emblematico, dato che è nel cuore della notte che ognuno è da solo con sé stesso, con i suoi fantasmi psichici. È in queste ore che l’onirico prende spesso il sopravvento. Però l’autore rimane sempre ancorato alla realtà senza edulcoranti o autoinganni. Anzi oserei dire che l’onirico è lo sfondo, poiché l’immaginario fa da cornice e l’esame della realtà viene focalizzato, viene sempre messo in primo piano. Poi la notte trasforma le cose e le persone. Di notte possiamo ascoltare in silenzio al buio il battito del nostro cuore nella nostra stanza oppure uno può darsi al divertimento sfrenato, agli eccessi. Una persona può resistere a ogni cosa se è riuscita a sopravvivere alle sue notti insonni, alle sue “notti bianche”. “Dopo le due di notte” di Alessandro Babbone è poesia giovanile? Anche ma non solo; sarebbe troppo limitativo definirla così, anche se a una persona matura che vuole capire i giovani la lettura di questi versi facilita molto le cose. “Dopo le due di notte” di Alessandro Babbone aiuta a comprendere il presente in cui vivono i giovani, a capire come sentono e pensano, se non si ha troppo paternalismo nei loro riguardi. State sicuri che se non avrete pregiudizi, Alessandro Babbone vi attrarrà nel suo campo magnetico. In “Non sentitevi speciali” abbiamo il conflitto generazionale, il disgusto per la gerontocrazia. Ma non vi venga in mente che siano esclusivamente generazionale la sua poetica o il suo target, poiché si rivolge a tutti, pur sapendo che non si può piacere a tutti. I padri hanno lasciato un mondo apparentemente confortevole, ma colmo di problematiche. Babbone è un poeta che avverte come pochi la crisi, ma non pensa mai di avere la verità in tasca: sa bene che non ci sono facili soluzioni. Si farebbe un torto a Babbone a pensare che la raccolta sia frutto di inquietudine giovanile, perché c’è molta più sostanza, c’è molta più carne al fuoco. E alle persone di una certa età che condannano i giovani senza appello dovremmo rispondere loro citando il Talmud che in ogni generazione c’è del buon vino e Babbone ne è un esempio, artisticamente parlando. Babbone è anche autore di canzoni e si vede dalla chiarezza espositiva, dalla nitidezza delle immagini, dalla capacità comunicativa del linguaggio. È una poesia nuova, che basa molto sul suo essere diretta ed espressiva. La connotazione è tutta basata sull’aggettivazione. L’inconscio non viene rimosso, né liberato totalmente ma controllato a dovere. Abbiamo la ricerca di un linguaggio che sia accessibile a tutti, un’aderenza delle parole alla vita quotidiana. In questi componimenti Babbone è spesso sospeso tra vicissitudini personali e senso di schifo per il mondo attuale. Infatti c’è il privato in questa raccolta ma anche il sociale. In quest’opera ci sono intimismo e ingiustizie sociali. C’è tutta la rabbia giovanile. Ci sono insoddisfazione, senso di vuoto, disprezzo per l’arrivismo e il consumismo. C’è amore senza sentimentalismo. Tutto scritto in un linguaggio crudo. C’è senso della realtà senza il realismo abusato di stampo letterario. C’è il dissenso. È un giovane che fa capire a chiare lettere che non sta a questo gioco al massacro e che non accetta compromessi. Leggendo Babbone uno si può porre questa domanda: bisogna trasformare il mondo come voleva Marx o cambiare vita come fece Rimbaud? E poi ancora bisogna prima cambiare il mondo per cambiare la propria vita o cambiare sé stessi per cambiare il mondo? Babbone va all’attacco. La sua è un’offensiva contro la società di massa, contro la logica spietata del capitalismo. Non c’è traccia di minimalismo esistenziale, né di demagogia politica. Non c’è metapoesia. Ma c’è una vera ontologia della rivolta, che non è mai puro ribellismo fine a sé stesso; le poesie sono intrise di umanità, di senso della solidarietà, ma il poeta sa bene che cambiare il sistema è molto difficile. Non è pretenzioso. Va sempre dritto al cuore del problema. Da una parte la vita e dall’altra il mondo. Entrambi non fanno sconti e neanche il poeta fa sconti, restituendo totalmente la loro crudeltà, insensatezza, assurdità. Babbone toglie qualsiasi enfasi, qualsiasi belluria, qualsiasi iperbole. Scrive le cose come stanno. In “Dopo le due di notte” di Alessandro Babbone ci sono tracce di autentico lirismo e freschezza giovanile. Talvolta tende alla percussione e a un’ottima narratività senza mai essere eccessivamente verboso e prolisso. In altre liriche eccelle nella sintesi incisiva. Babbone compie un’operazione linguistica originale: da un lato in questi componimenti si trova ricchezza lessicale e dall’altro abbiamo il minimo sindacale del linguaggio figurato: poche metafore, poche similitudini, rare personificazioni, presenti soprattutto nelle invettive. Ci sono solo le figure retoriche necessarie, dato che l’autore vuole ridurre qualsiasi retorica, anche dal punto di vista prettamente icastico-linguistico. “Dopo le due di notte” di Alessandro Babbone realizza inoltre uno scarto significativo dal linguaggio comune, da quello mediatico e algoritmico, dal linguaggio poetico convenzionale, ormai anch’esso stereotipato. Tutto ciò poeticamente è anche rischioso, ma è un rischio molto promettente perché fatto con maestria e consapevolezza. È quindi a mio avviso una nuova forma di poesia, che sancisce il punto di rottura con la tradizione. Consiglio quindi di leggere “Dopo le due di notte” di Alessandro Babbone, pubblicato da Ali Ribelli Edizioni. Potete acquistare il libro o l’ebook qui:
https://www.aliribelli.com/prodotto/dopo-le-due-di-notte/
Ecco una sua poesia:
L’AMICO DI RANDAL
Era lì, seduto in un angolo di strada,
Sporco con una tuta scura rovinata
Ed una felpa grigia segnata dal tempo.
I suoi capelli erano bianchi, unti, e la barba altrettanto.
Di fianco a lui sedeva un cane,
Grande anch’esso grigio o forse era semplicemente sporco,
Con un pelo riccio e folto da coprirgli gli occhi.
Aveva una ciotola dinanzi a sé,
E il suo volto trapelava dolore,
Fame, tristezza come una gelida sera di dicembre.
Mi avvicinai a lui porgendogli due fette di pane
Trafugate pochi minuti prima alla mensa universitaria,
Le accettò senza esitare e le condivise con il suo cane.
Istintivamente mi sedetti di fianco a lui.
Rimase molto colpito,
E mi guardò con aria stranita e uno strano ghigno.
Gli chiesi come mai si trovasse in quelle condizioni, solo, sul ciglio di una strada.
La prima cose che mi rispose fu:
“Non sono affatto solo, ho lui, Randall”
Poi continuò sempre sorridendo,
Dicendomi che aveva perso tutto,
Famiglia, lavoro, dignità.
Nella mia mente vedevo soltanto un uomo solo,
Afflitto, a cui nessuno dava retta,
Era come se fosse un fantasma seduto in un angolo,
Nel suo angolino di vergogna dove la società lo aveva mangiato,
Digerito e risputato tutto di un colpo.
Gli chiesi perché non cercasse di riprendere in mano la sua vita,
Di trovare un lavoro, di cercare la sua famiglia.
Mi rispose dicendomi che quando perdi tutto ciò a cui tieni la vita diventa scura,
Cupa, e ti aggrappi a quel poco che ti permette di vivere,
A quei ricordi che ti riscaldano durante la notte.
Non ti rendi conto mai di quanto contano le persone
Finché non le vedi dissolversi come fumo che esce da un camino.
Certe parole riescono a farti sentire vuoto,
Davvero vuoto, osservi e inizi a capire;
Tutte quelle persone che passeggiavano lungo il corso e che ignoravano quell’uomo solo,
Erano così smaniose di consumare
Tutto ciò che avevano in quei scintillanti negozi,
A sbavare davanti a tutte quelle vetrine addobbate;
Ma lui no, lui cercava solo qualcosa da poter sgranocchiare insieme a Randall,
Perché ora era tutto ciò che aveva.
Avrei voluto saper rispondere in qualche modo,
Avrei voluto poterlo rassicurare, aiutare,
Ma in quel momento era la voce di una triste realtà,
Dura da mandar giù, ma vera.
Decisi che sarei tornato da lui,
Che avrei voluto sapere di più della sua storia perché non rimanesse l’uomo fantasma,
Perché potesse tornare a sorridere anche se per un breve momento,
Perché mi avrebbe insegnato più lui di qualunque
Dottore, professore, esperto presente in città.
Lui non era un fantasma, lui era la voce della realtà,
Una fioca e rauca voce che gelava il sangue nelle vene,
Ma che riscaldava le interiora.